La crisi economica e finanziaria ha radici lontane e nasce dalla più generale crisi delle famiglie in tutto il mondo occidentale. La denatalità è stata determinante per tutto.
Non c'entra solo l'avidità dei banchieri senza scrupoli, che, comunque, ci sono ed hanno un colpevole ruolo. Le ragioni profonde sono la denatalità che per quarant'anni ha bloccato la crescita dei consumi, mentre, sono aumentati i pensionati e gli anziani bisognosi e, quindi, sono aumentati i costi fissi e diminuite le produttività.
Ecco allora crescere anche l'aumento delle imposte, passato dal 25% all'attuale 50% e oltre per mantenere una parvenza di stato sociale.
Così è iniziata la delocalizzazione delle attività produttive con un progressivo ricorso nella società all'indebitamento; ecco allora arrivare i dissesti e tante persone sono finite a pianificare il loro futuro sul debito, magari con mutui anche per chi non aveva lavoro.
L'Italia, che nel complesso aveva un enorme risparmio pregresso, ha rallentato il manifestarsi acuto delle crisi che, però, sono divenute "strutturali e striscianti", perché acuite dalla tendenza alla privatizzazione del debito pubblico, ed oggi, sono tragicamente esplose con il devastante fenomeno dei costi sociali dei cosiddetti NPL acuite dalla colpevole politica di servitù verso le grandi banche: private per i profitti, pubbliche per le passività.
C'è, infatti, anche una questione più profonda e che risale al ruolo pubblico delle banche.
La retta via è che lo STATO si dichiari GARANTE di ultima istanza: una cosa è la Pubblica Amministrazione, un'altra sono i cittadini su cui non possono ricadere gli effetti di politiche asimmetriche. Si deve, infatti, ripartire dalla Legge Bancaria del 1936, con alcuni evidenti e comprensibili aggiustamenti, eliminando la "legge truffa" di Fazio, del '93.
Questa storia comincia, infatti, nel 1993, con la abolizione della introvabile legge bancaria del 1936, quando le banche svolgevano funzioni di "utilità pubblica", oltre che "private", ovvero fare profitti, e il risparmio era tutelato, nel senso si faceva una distinzione tra "depositi e breve termine" e "finanziamenti a medio-lungo termine". Le banche erano conseguentemente separate in banche di credito ordinario e istituti finanziari. Dal 1993, dunque, le banche sono "imprese private" orientate al profitto e la "Vigilanza" è svuotata: basta esporle al rischio di fallimento.
Un quadro della finanza tutta "privata" aggravato dalla complice separazione tra Ministero del Tesoro e Banca d'Italia per le funzioni di istituto bancario pubblico voluta nel 1992 dalla politica di Andretta e Ciampi, che porta alla scomparsa in Italia di un Istituto bancario Pubblico, come, all'opposto, accade in Francia col 35% di banche giuridicamente "pubbliche" e in Germania con un 55% di "pubbliche".
Le banche italiane sono diventate tutte private e tutte "banche universali", ovvero, possono finanziare investimenti a rischio anche con denaro in deposito a breve. Quello che conta è il patrimonio, che, però, è abbondantemente "non liquido" e, dunque, soggetto al rischio di non essere liquidabile al valore nominale, come accade ciclicamente in borsa con il crollo delle azioni bancarie e con l'effetto reazione a catena del crollo dei titoli di Stato, spread, ecc….